La mattina dell’incidente, H. era accanto alla madre, in fila con centinaia di altre persone intorno a uno dei pochi punti di distribuzione del cibo rimasti a Gaza.

“Chi arriva prima cerca di non perdere la posizione; chi arriva dopo cerca di farsi spazio per non restare senza nulla”, ci raccontano i pazienti della nostra clinica. Anche mettere insieme un pasto al giorno, nella Striscia, è sempre più difficile. E, tante volte, pericoloso.

H. teneva una mano stretta in quella di sua madre. Con l’altra, teneva la sua scodella vuota. Mentre aspettava è stato travolto dalla folla e ha urtato uno dei pentoloni bollenti. È arrivato da noi con un’ustione di secondo grado sul petto.

Mentre lo medicavamo, siamo riusciti a distrarlo qualche minuto grazie a un guanto trasformato in un palloncino.

Le condizioni igieniche precarie del campo sfollati dove vive e la disponibilità irrisoria di acqua, spesso contaminata, esponevano la sua ferita a rischi di infezione. Abbiamo dato alla madre le indicazioni necessarie a proteggere la ferita anche in un contesto così difficile e abbiamo rivisto H. regolarmente. Ora sta meglio.

H. è vittima della fame causata dal blocco disumano degli aiuti umanitari fermi ai confini. Sono oltre 70.000 i casi di malnutrizione acuta o severa diagnosticati tra i bambini e le bambine nella Striscia, secondo le Nazioni Unite.

Tutta Gaza ha fame: la situazione è insostenibile.

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